| Taldegardo
il Santo
Inguaianato nell' abito talare, alto, col cappellone da arcipretastro da medioevo calcato sulla testa, San Taldegardo dominava quei metri quadri pieni di caldo e polvere. Tre blocchi di legnaccio di prete, per farlo. E una fessura mica tanto piccola, sul davanti che' quando lei lo volesse usciva il suo gioco preferito e allora San Taldegardo, altro che bambola gonfiabile! Un pezzo d'uomo, seppure legnoso, da adorare e da fottere, a seconda delle necessita' dello spirito et del corpo. Una leva rude nel posteriore faceva calare il gingillo, 34 cm di ebano ben levigato, a disposizione! L'astuto scolpitore aveva dato al santo una espressione beata, che mai e poi mai si potesse intravedere negli occhietti semi-coperti dal cappellaccio vescovile una qualche ottusa disapprovazione. San Taldegardo doveva far godere con gioia! E allora via, c'erano sere che lei, sudando, si avvicinava e diceva i rosari, con gli occhi rivolti al musaccio del santo, occhi semi-lacrimosi e finti, piccoli occhi annegati nel grasso di un viso bianco e flaccido come lo strutto, occhi di bimba grassa e infelice. E gnia gnia , il lamento partiva e tutto il quartiere chiudeva le finestre, preferendo schiattare di caldo che perire di lamentele, e gnia gnia, e Taldegardo stava ritto, in mezzo ad una decina di metri quadri, abito talare chiusissimo, che ora lei era solo in vena di piagnistei e mica fottere voleva, che' fottere non si poteva, mamma' stava a cuocere la pappa per la famiglia. E gnia gnia, San Taldegardo aiutami tu, gemeva lei, in preda a certi bollori dell'anima flaccida, e il prete buono e senza disapprovare in mezzo alla stanzina taceva e il gingillo nascosto tremolava e lei gemeva e gemeva. Ora di pappare. Fine del rosario. I vicini aprivano le finestre soddisfatti e parlavano che era meglio fottere che lamentarsi, epperdio, che il santo per quello serviva, mica per addomesticare i gatti a furia di lamenti! E allora si pappava e per un attimo San Taldegardo in pace restava, solo in mezzo a quei polverosissimi metri quadri, pensoso e beato, come lo scolpitore l'aveva creato. Si poteva dire vedendolo cosi' che assomigliasse un poco a Cary Grant, ma cosi', solo di primo acchito, che' aveva una faccia rotonda e signorile, e mani lunghe, ben tese, che trattenevano il bastone pecorile come se fosse un giavellotto. Lo scolpitore in effetti aveva guardato bene un paio di filmes prima di cominciarlo, e la confusione tra il Grant e il Bernini era stata magica. San Taldegardo era venuto fuori adatto! E dopo il pappamento, la famiglia si ritirava a schiamazzare in cortile, con i vicini in tregua, a smozzicare dialetticismi e mozzarelle di campagna, che quello era un mondo cosi', fatto di dialetti e latte di vacca magra. Lei entrava nei metri quadri, silenziosa come una gatta gravida, piano piano assottigliava gli occhi nel buio e si avvicinava al santo silente in piedi li' nel mezzo. Con le finestre mezze chiuse, per non disturbare, accarezzava il culo al santo e dopo poco, serrando bene la porticina con la chiave, premeva la leva. Il gioiello d'ebano si schiantava al buio, lucido e ben oliato, non faceva nemmeno piu' gnic calando, e lei lo guardava con avidita' e si chinava in pose religiose. Un paio di gnia gnia prima di fottere, ma pochi, che' i vicini non tirassero olive contro le finestre, e poi iniziava il succhiamento, che lei chinata faceva gorgogliando e poi , raccogliendo la ciccia, si alzava e lo stendeva sul pavimento. Intonando un paio di allelujah, si sedeva sul santone legnoso infilandosi ben bene il gioiellino, e rideva di gioia che' mai cosi' le capitava di star bene come quando pregava il santo in cavalcata. E cavalcando cavalcando allora si' che il santo faceva gnic gnic, con il faccione beato, che' lui era un pezzo d'uomo di legname ma lei diosanto era un centinaio di kili!! E quasi cantava lei di gioia che mai nessuno in carne e ossa se la guardava mentre il suo santone personale le faceva di ogni, cura spirituale e corporale! E dopo decine di minuti, col pavimento freddo che tremava, i vicini sentivano gridare un salmo sconosciuto, e il tremolio cessava e si sentiva solo un tonfo scuro venire dalla stanzetta chiusa, e tutti si guardavano con le mozzarelle in mano e mica disapprovavano, no anzi, basta che lei non rompesse i coglioni ai maschi di quartiere e alle femmine del mercato, bene , pensavano, faceva bene a fottersi un santo legnoso, che nessuno tranne lui la poteva sopportare, in peso e lamentele! E per un paio di giorni se ne stara' buona, pensava il cugino conciatore di vacche, bella compera davvero, quel falso maschio liberatore. "Viva San Taldegardo!!" urlavano i maschi giovani saltando in piedi e ridevano di risate antiche e assassine, "Viva San Taldegardo nostro santo liberatore!" urlavano i maschi cattivi e puri correndo fra le vie del paese, e ridevano ridevano come solo i maschi cattivi sanno fare quando sono liberati da una grazia simile. Lei intanto puliva e diceva un rosarietto di consolazione, e il santo orizzontale pensava che la sua vecchia nodosa vita valeva bene la gioia della gioventu' del paese. Lei cantando nenie di chiesa, usciva e spegneva la luce. Plic. Hazel Motes 1998 |
| Sulla
vera natura dell'amicizia
L'amico di oggi spera che i suoi amici siano sempre
soli ed abbiano sempre e solo bisogno di lui.
Ròdion Raskòl'nikov
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DE ABORTO
Difendo l'aborto in conseguenza di una terribile
lezione di filosofia. Dico che l'aborto e' lecito perche' una donna nel
suo ventre ci mette tutto quello che le pare, a partire dagli anellini,
passando per i lassativi, finendo coi pupi. Se una donna si trova un seme
piantato nella pancia, dipende da lei e solo da lei, se innaffiarlo, crescerlo,
farsi divorare da lui e farselo sbucare fuori nella propria vita. Dico
che se una donna si trova un semino piantato nella pancia, ha 4 mesi buoni
di tempo per riflettere. Bisogna avere coraggio, per crescere un albero
dentro di se'. Bisogna avere pazienza. E bisogna avere anche una lieve
quanto profonda attitudine al martirio. Strapparsi un semino dalla pancia
non e' tagliare un albero. Un professore di filo un giorno disse che se
c'era una sola causa al mondo per cui acconsentivamo all'aborto, allora
non potevamo dirci anti-abortisti. Mi vennero in mente all'improvviso decine
di mostri, infanti a due teste, bambine a quattro braccia e altri bei pezzi
della collezione del museo. E pensai che in quel caso, allora, avrei approvato
l'aborto. Ma solo in quel caso. Ora,invece, dico che anche se siamo assolutamente
sicuri di avere nella pancia un figlio sano e forte e gloriosissimo, un
figlio che con la sua luce possa illuminare la terra intera, se sappiamo
per certo, da una qualche profezia o da un sogno, che abbiamo dentro quel
seme e che siamo madri divine, dobbiamo comunque chiederci: lo voglio?
Le combinazioni umane sono rare, ma l'amore materno e' cosa ancora piu'
rara. E non parlo di quell'amore melassoso che si fa cavalcare la testa
dai bambini, che si fa umiliare dai figli, e sopraffare dalla vita degli
altri; parlo di quell'amore profondo e silenzioso che accompagna i pianti
dei figli, a qualsiasi eta', che offre sangue e tempo, in ogni momento
della vita, che sa ridere di tutto, che sa essere gioioso, speranzoso,
indomito, di quell'amore forte ed eterno che si deve sentire dentro da
subito, un amore che non e' per un figlio ma per la vita stessa. Non ci
sono medicine peggiori contro la noia e il disagio e il tempo dei figli:
ripetitori di cose antiche, ci annoiano; tristi senza ragione, ci maledicono;
ladri di minuti, ci sottraggono vita. Ma se a prescindere da tutto, senza
seme e senza tempo, possiamo uscire in strada e urlare forte "io amo la
vita! io amo la vita!" allora quel seme teniamolo e ridiamo e viviamo fingendo
di avere un giardino segreto coltivato dentro il cuore, e facciamoci beffe
di tutti, di tutti quelli che considerano un figlio una cosa sacra e di
tutti quelli che considerano un figlio una maledizione. Non esiste attesa,
se c'e' amore per ogni singolo minuto dell'esistenza.
Hazel Motes padre e madre |